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mercoledì 24 ottobre 2018

Iceberg

Il video comincia con un lui e una lei che vanno a una festa.

Interno notte, ascensore, sempre lui e lei parlano, con davanti alla faccia un telefonino che li registra, lui non sa dove lei lo sta portando, dice solo "una festa in un posto stellato".
"Perché dici stellato? per fare la figa?!"

Io sarei già a posto così.

E invece, anche se so già come è andata a finire, voglio guardare.

La location stellata è un supermercato, la festa organizzata da lei e dalla mamma di lui.
A lui faranno la festa, oltre la festa!

Funziona che tutti possono prendere ciò che vogliono, parte la musica, partono i balli.

Si balla nel (e sul) reparto frutta e verdura.

Una bionda si fa sculacciare con un cespo di lattuga. 
Un'altra balla roteando una freschissima Iceberg.
Lei se ne sta comoda in un carrello con un finocchio sulla pancia, lui le chiede il perchè del finocchio e lei risponde sventolando, maliziosamente, manco a dirlo banane.
Le zucchine sono salve!

Bene, ma non benissimo.

Bene, fino a quando gli ospiti, non si fanno prendere la mano e comincia la gara dei carrelli tra le corsie, alcuni nel passaggio allungano la mano sugli scaffali e fanno cadere quello che c'è sopra, il top si raggiunge con il lancio di panettoni, calciando varie ed eventuali.

Male, e si raggiunge il malissimo.
 
Il web si indigna.
Al grido (che funziona sempre) c'è gente che muore di fame!

Interno notte, ascensore, mentre la festa impazza, lei in secondo piano, in silenzio con la faccia seria, e una tuta in latex che non aiuta a prenderla sul serio.
Lui chiede scusa, non era sua intenzione, lo "spreco di cibo" non va letto come ostentazione dell'opulenza, chi la vede così è un malizioso.
Dice, che chi l'ha interpretata così, dovrebbe non guardare Master Chef, perché anche lì, il cibo si butta.

E ha ragione, da vendere e che lo fa vendere, che nel caso specifico, non è un dettaglio trascurabile.

E vale, non solo a Master Chef ma anche nelle cucine delle case di ognuno di noi.
Buttiamo cibi, magari scaduti, magari dimenticati nel frigo, insalate tristi che non abbiamo più voglia di mangiare, magari mille magari.

E come le buttiamo?
Invitando gli amici più scemi che conosciamo!
Tutti in piedi!
Le buttiamo ballando sul tavolo apparecchiato, se possibile con i piatti cucinati e serviti caldi!
Potrebbe essere un modo per esorcizzare lo spreco, riciclando in allegria.

Non so voi, ma io una tuta da casa in latex rosso non ce l'ho.
Non so voi ma, io ogni tanto me la godo, anche senza un telefonino davanti alla faccia.
Non so voi, ma io quando faccio una cazzata, me la tengo per me.
Non so voi, ma io francamente prediligo i vecchi e rodati sistemi quando butto gli avanzi.
Avanzi ripeto a.v.a.n.z.i, capito?
Gli Avanzi, li butto in un sacchetto dell'umido sperando che tenga botta e non si decomponga almeno fino all'arrivo nella pattumiera.

Pago la Tari, (fanculo) e il conseguente servizio dell'operatore ecologico, e ogni tanto, come personalissimo atto di disobbedienza, butto i rifiuti nel sacchetto sbagliato, io mio compagno mi fa pagare pegno lavando i contenitori della mozzarella e io dico "In Africa c'è gente che muore di sete!" ma non mi faccio sculacciare con la lattuga, (ed è da ieri mi domando come mai non mi sia venuta mai in mente una cosa del genere) e non butto il sacchetto dalla finestra(perchè pago la Tari), e ne sarei tentata, perché appunto pago, io pago!

Sono una brutta, bruttissima persona!

Et voilà, eccovi servito il punto, io pago, e faccio il cazzo che mi pare.

Facile.
E sbagliato.

Ma appartiene a tutti, questa mania del io sono io.

Siam tutti bravini e a modino in pubblico, è quando siamo soli che i conti non tornano.

Il diritto all'oblio, lo posso decidere, la mia immagine non mi da da mangiare.

Per campare ci metto quello che sono capace di fare, non quello che mi piacerebbe fare.
Non è più tempo del piacere, ma del dovere, e questo fa incazzare, ci regala incertezza, e la nostra abbondante dose di merda  quotidiana.

Vorrei, la libertà mentale di poter andare in un supermercato, e non sentirmi in dovere di sistemare gli scaffali messi in disordine dal "io pago" di turno, perché mi dispiace per il commesso pagato un cazzo, che si sente dire che è lì e viene pagato per sistemare la maleducazione di tutti.

Vorrei, avere la libertà di rivedere quel video senza pensare ai poveri cristi, che stanotte, dopo la festa ha dovuto risistemare il casino lasciano dal "io sono io, e lo do in beneficenza"

Vorrei non si usasse la beneficenza per giustificare la deficienza. 

Perché poi, quelli che di cibo davvero non ne hanno, devono essere grati, e sorridere mangiando l'insalatina che ha schiaffeggiato il culo di una bionda alla festa di una candidata all'Ambrogino d'oro.

E devono, ringraziare e sorridere (ma non troppo, sennò fa brutto) perché il cibo non se lo sono guadagnati, ma mangiano lo stesso!

 














venerdì 12 ottobre 2018

Ho fotografato una lampada




Interno giorno, di una casa sul mare



Due mesi fa ero ospite in una casa bellissima.

Come spesso accade quando sono in giro, porto con me una macchina fotografica istantanea.

Rimasta sola, nel salone  di quella casa, mi guardavo intorno, come si fa nei musei, leggendo didascalie non scritte. 
Immaginavo, raccontandomi i racconti che mi hanno raccontato.
Insomma, immaginavo e basta.

In cucina, una pentola con l'acqua che bolliva.
Nella stanza accanto, un padre e un figlio.
Nel negozio quattro piani più sotto, una donna a comprare un ingrediente dimenticato.
Sul terrazzo una tavola apparecchiata per cinque.
Anche l'attesa era invitata a pranzo quel giorno.

E nell'attesa, ho fotografato una lampada.

Mi sono avvicinata, ho scattato, è partito il flash, e la scatola magica ha sputato l'immagine.

Una macchina fotografica senza pretese, a differenza mia,  quando si tratta di scattare per ricordare.
La mia pretesa di cogliere i dettagli con una macchina del genere, in un giorno del genere, sapevo essere un azzardo, il fatto che la foto sia fuori fuoco, mi ricorderà l'azzardo e l'ultima volta in quella casa.

Va sempre così quando c'è da attendere che qualcosa si realizzi.

Realizzare è un verbo straordinariamente bello, o terribilmente brutto.

Quel giorno era terribile e basta.

Lo sapevamo tutti, non lo diceva nessuno.

E ho fotografato una lampada.

Il terribilmente brutto non merita, di sentirsi dire cheese.

E da quel genere di lampada, non escono desideri.

Ho strofinato la macchina fotografica, che ne ho realizzato uno, uno dei tre, per gli altri due non c'è nessun cristo che tenga, certe cose vanno lasciate andare.

Resta una brutta foto.
Resta una buona foto.

Al padre e al figlio immagino restino gli sguardi, e le bugie di serenità, che si ingoiano nei momenti in cui l'attesa è un ospite che vorresti cacciare a calci in culo fuori dalla porta.

Ho fotografato una lampada di un padre che se n'è andato, e questa volta se n'è andato per davvero.

Quella lampada non l'ho mai vista accesa, quel padre, è padre della persona che amo.

Quel padre la vita, l'ha regalata a me, senza prendersi la cura di incartarla.

Io e il suo regalo ci siamo portati via!

Avrei dovuto almeno ringraziare, ma ho atteso troppo.

E comunque, una stretta di mano in questo caso, non sarebbe bastata.
Per alcuni figli, i casi di farsela bastare, sono sempre.
 
C'è un cavo che passa dietro questa lampada, dalle forme femminili. 

Bellissime le forme femminili, come bellissimi sono gli occhi degli uomini che non sanno opporre resistenza al fascino.
Dannatamente stronza la bellezza, a tal punto che un uomo, a volte finisce per confondersi, inciampare, zoppicare e sventolare la resa incondizionata, in nome di un altro amore.

Accade mai, alcune volte, molte volte, definitiva volta.
 
Ho fotografato una lampada, con un interruttore nascosto.

Il dolore, come quel cavo, ce lo si lascia alle spalle, prima o poi.

Prima o poi si seguirà quel cavo, per cercare l'interruttore, e vedere se la luce funziona.

Prima o poi arriverà l'impulso che accende il perdono per un amore che ha rinunciato all'amore per te.

Non è un attendere, questo non lo è, la luce si accenderà all'improvviso.

D'altronde lo sai che va così, tutte le cose belle arrivano all'improvviso, e si lanciano tra le tue braccia.
Il conforto dell'abbraccio che darai a te stesso, amore mio ti permetterà di sentire la presenza nell'assenza.

E funziona, tanto che tu conosci un padre che non hai mai vissuto, anzi ne conosci due, uno mio e uno tuo, entrambi un pò nostri.
Del mio, ti restano i miei occhi, del tuo quel che resta, me lo racconterai.


Ho fotografato una lampada a Roma, due mesi fa.








giovedì 11 ottobre 2018

Gustav Egon scusate, sanno bene quel che fanno e lo fanno da stronzi!


 Risultati immagini per egon schiele calze rosse



Gustave e Egon in arte Klimt e Schiele
(Pittori)
Morti entrambi 100 anni fa.
Audaci e scandalosi allora, come oggi.

Come oggi?!?!?! Eh? 

A Londra, si sfoggiano cappellini colorati e vestiti pastellati, e si sta abbottonati.
Nessuna Londinese usa le parigine (come quelle meravigliosamente raccontare dal buon Egon)?

Rosso, giammai!

In metropolitana, a Londra sui mezzi pubblici si legge "Scusate: abbiamo cent'anni ma siamo ancora troppo audaci"

Sta scritto su un cartoncino che copre corpi nudi, dipinti nudi, cent'anni fa!

Ovvio, e stronzo il trabocchetto.
Buon ritorno al medioevo Vs il nudo artistico e bla bla bla.

L'amministratore delegato dell'ente turistico, dice "Vogliamo mostrare alle persone quanto in anticipo sui tempi fossero questi grandi artisti di Vienna, e incoraggiare il pubblico a notare quanto poco aperte e moderne siano rimaste le nostre società"

Ahaaah!

Egregio Kettener, Signore, mi duole informarla che questo incoraggiamento, fu sempre.

Pare che Daniele il brachettone abbia disegnato una collezione di intimo per i Santi del Giudizio Universale, immagino che lei ne sia a conoscenza.
Del fatto che in una Chiesa di Roma ci sia una Santa illuminata dalla luce divina, nel pieno di un orgasmo di tutto rispetto, ne vogliamo parlare?

Cos'è? una questione di gusto?

Eppure nelle chiese si piangono i morti e si raccolgono soldi.

Eppure alle mostre davanti a una tela di Schiele nessuno si è mai calato le braghe, non in pubblico quantomeno.

Tuttalpiù un tocco di sindrome di Stendhal, per buon turbamento dei sensi, e a ognuno la sua tachicardia!

Sembra che non si possa dire che dio non c'è, sembra che ci si debba educare a sentirsi finti peccatori.
Ma perché?

Francamente, mi convince molto poco chi mi invita a riflettere sul poco modernismo della società.
Francamente, mi convince poco il non modernismo della società, se viene misurato ancora in pruriti.
Francamente, mi convince poco chi invita al pudore e usa una sottigliezza meschina.
 
Mi convincerebbe se al posto di coprire un uccello, si coprissero le teste che ragionano con quello, per far cassa.

Ma no, non si fa, e di certo non si fa nel nome del progresso che regredisce sempre in una forma infantile del "non si fa" che poi ci  veste di vergogna pericolosa.

Astuzia di un buon ufficio di comunicazione, i laureati dovranno pur lavorare no?!

 
Signor Kettener, Signore, le do una buona notizia, Gustave e Egon sono pezzi forti, che non hanno bisogno di pubblicità ne tanto meno di chiedere scusa!

Quello che abbiamo bisogno tutti, invece è di non sentirci guardoni andandoli a guardare, perché ce lo suggerite voi!

Diamine, la stellina nera a coprire la pudenda?
Dovremmo appiccicarcela in fronte, chiudere il settimo chakra e rinchiudere Kettener, e tutti i brachettoni in una torre alta, altissima, e ingoiare la chiave, possibilmente senza cagarla!

Dar voce a due artisti per fargli chiedere scusa dell'audacia? 

Guardare la bellezza fa esplodere il cuore, far cadere il velo della mediocrità vestita a modino, arrossendo davanti a Egon e Gustave è un omaggio ai tormenti che loro, hanno dipinto per me, non ammetterlo sarebbe presuntuoso e sciocco.

Dargli voce per fargli chiedere scusa è un azzardo fintamente pornografico da stronzi!

Almeno quanto un adulto che nasconde le nudità a un bambino.
Nessuno bimbo accorge di essere nudo, bello o brutto finché qualcuno non glielo dice.
Nessun adulto sa più ascoltare il bambino bello o brutto che gli è rimasto incastrato dentro, che gli dice quanto bello sarebbe un mondo senza ipocrisia.

 “Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua.

Io mi ubriaco brindando a Charles, Gustave e Egon, in alto i calici colmi di bellezza, Signor Kettener Signore, i calici, in alto solo i c.a.l.i.c.i!

Chiedo scusa se con audacia le ho fatto notare che le dimensioni contano, solo quando non si conta un cazzo.
Mi comprenderà, vivo in una società terribilmente moderna, dove il valere degli esseri umani si paga cash e gli artisti si autodistruggono per non pagare pegno.


Audacemente sua!


 



lunedì 8 ottobre 2018

oggi che mi van di traverso le parole...





Le parole volano, gli scritti rimangono.

Questo da quando Caio (Tito) non un Tizio qualunque in Senato (quello Romano), invitava alla prudenza nello scrivere e rivendicava in un certo senso il "per sempre", del non parlato. 

E facciamoci due risate, per non aver (ancora) capito un cazzo.

Giocando, mi immagino il buon Caio, connesso a milioni di Tizi, in un anno del poi, dove tutto si scrive, e nulla si dice più.

O meglio oggi, adesso, e subito.

E facciamo a chi la pensa, e a dio piacendo, la scrive meglio?
Manco per niente, per far questo si scomodano le grandi menti, l'hanno detto meglio di noi, perché mai sforzarsi?

Qualcosa sulla non violenza ce l'abbiamo?
Gandhi, come vi pare?

91300 risultati in 0,47 secondi, immagini comprese.
 

Ho il sospetto che se Wikipedia chiudesse i battenti, saremmo fottuti, tutti, io in primis, che porto la bandiera del porcatroia se scrivi pensa e rischia mettendoci del tuo, perché la tua forza o la debolezza di ciò che sei, non finisce con il punto alla fine della frase punto

Sono una rompi coglioni, nata e pasciuta dai miei insegnanti, che tagliavano con le forbici i miei temi e mi insegnavano fare i collage del mio pensare.
In un tema sulla bellezza, ho citato parola per parola un critico d'arte, risultato un quattro.
Secondo l'insegnante avevo copiato.
Aveva ragione, e me lo ha dimostrato quando io, per difendere le mie ragioni ho recitato (a memoria, e beata sia la gioventù) dieci pagine di un libro folle, dal mio palcoscenico immaturo, fino allo sfinimento, virgole, punti e a capo compresi, lei mi ha lasciato finire, e poi mi ha detto, "ok, bene, ma cosa c'è di tuo?"

Ecco qui, eccolo qui!

Questo ricordo è tornato prepotente e comico questa mattina, e torna spesso.

Torna, quando mi incarognisco per una parola usata a mio parere male, torna quando non mi regalo il tempo di pensare, e quando ho bisogno di incazzarmi, e vi giuro che ci metto tre secondi quando leggo alcune cose.
E ne sono ben cosciente, e niente non ce la faccio, non taccio e scrivo.

Perché diavolo, faccio fatica a scrivere, ne faccio davvero tanta, in ragione del fatto che chi scrive, ha delle responsabilità sempre, io me le assumo anche quando chi mi legge, trova degli errori e me li fa notare, e spesso purtroppo, si ferma lì. 
Gli errori, ci sono e sono tanti, spesso dettati dal divertimento di inseguire una cosa, che non so dove mi porterà, corro, inciampo e non smetto di inseguire la curiosità del non sapere come andrà a finire.
All'arrivo, ho il fiato corto, e sono stanca, scrivere stanca!
Quando scrivo, sono nuda, a volte mi piaccio a volte mi faccio paura, spegnere la luce consola la mia timidezza, la luce accesa non mi da scampo.
La penombra invece non lascia dubbi, la vecchia e trita storia del vedo e non vedo, quando si scrive non vale!

Quello che non vedo mi tradisce, quello che vedo, non è ciò che è, quello che sento sono io.

Tanto vale, fare i conti con i propri difetti, e mettere il sentire nero su bianco per non dimenticarlo.

Sia luce, e vada come deve!

Le imperfezioni sono quelle del tempo in cui vivo, la perfezione la lascio a chi si vuole illudere.

Perché cazzo, io devo fare i conti con me, e con il bel mondo in cui voglio vivere.

E' faticoso, dico davvero!

Sarebbe più facile dire due parole e finirla lì, o meglio ancora, lasciar scorrere e tacere.
E magari, raccontarla, a distanza di tempo con le convenienze delle circostanze!

Ma ho una brutta notizia, io così, non funziono! 

Quindi abbiatemi in gloria, portate pazienza, sono strafalcionata di mio, è l'unico modo che conosco per non prendermi troppo seriamente e restare immortale finché vivrò!

Questi sono i miei cinquantacinque minuti, oggi.